🇮🇹 #diariodibordo Red Shadow, Crack Brewery in collaborazione con Hammer – Italian Craft Beer. Rispetto alla Dark Chili Pond (http://bit.ly/2F01EPK) questa volta la comunione di intenti è assai ben riuscita. Una Imperial Amber IPA da 8%, imbottigliata a gennaio e da consumare entro maggio, come le migliori inglesi di tendenza. Pericolosamente beverina e che fa pericolosamente riflettere.
Degustandola, mi è venuta subito in mente la “The Lady of Cofitachequi” di Amager in collaborazione con Fonta Flora (http://bit.ly/2t2puVo), recensita recentemente e che non mi ha fatto entusiasmare, al contrario della Red Shadow. C’è chi, però, è rimasto folgorato dalla collaborazione Danimarca/U.S.A.; la bottiglia di “The Lady” (e non mi riferisco alla web serie “cult” di Lori Del Santo”) che ho bevuto aveva, sulle spalle, qualche mese in più rispetto alla Red Shadow (“scadeva” dopo due o tre mesi e probabilmente non era stata imbottigliata un paio di mesi prima). E la Red Shadow mi ha dato l’impressione di una birra che, se bevuta con quasi un anno sulle spalle, “scaduta”, mi avrebbe dato le stesse sensazioni di Amager/Fonta Flora. Quindi, che dire, non ne posso avere la certezza, ma probabilmente la “The Lady of Cofitachequi”, bevuta con uno o due mesi di vita, mi avrebbe fatto gridare al miracolo e la mia opinione sarebbe allineata a quella di altri recensori. A quanto pare, più sono modernamente luppolate, meno vivono. Ma vivono proprio poco. E la bevuta diventa sempre più un terno al lotto. Sono contento di aver bevuto queste due birra “in sequenza”, così ho potuto eliminare qualche dubbio, qualche componente soggettiva e qualche condizionamento dalla mia recensione.
Passiamo ai fatti.
Si nota subito una schiuma bianca, di grana media e molto poco persistente. Il liquido è fluido, di un ambrato carico e leggermente velato.
Al naso subito il dank, la resina e una leggerissima punta di formaggio (ecco, magari questa birra, bevuta fra un anno, scaduta, sarebbe stata formaggiosa come la “The Lady” che forse ha peccato di una data di scadenza troppo lunga; inizio a comportarmi come un vecchio che ripete sempre le stesse cose). Poi si percepisce la frutta tropicale (mango, litchie, ecc.), una punta di uva bianca e pesca, bubblegum in generale (descrittore che usai, per la prima volta, con la Zipper di Lervig e le prime Stigbergets), agrumi, in particolare pompelmp. Molto, molto profumata.
In bocca è carbonata il giusto per esprimere e veicolare meglio tutti gli aromi. Si percepisce subito il caramello che va a braccetto col pompelmo e il mango, poi la resina ci risveglia da questo sogno di frutta per condurci in un amaro che controbilancia il caramello; l’etilico rinfranca successivamente il nostro animo per condurci, suadente, al bubblegum. Sul finale è leggermente astringente e vegetale/pellet, ma la cosa è trascurabile date le quantità di luppolo utilizzate.
Il caramellato non è cafone come in certe East Coast IPA, copre un po’ di odorini e bilancia il tutto. L’aroma della birra è molto persistente e regale sensazioni di biscotto inglese e dank; “densa”, ma non viscosa, sembra di masticare luppolo. Quando si scalda e si sgasa un po’, regala piacevoli note di cereale.
Nonostante la gradazione e la struttura importante, è assai beverina, buona e pericolosa. Grazie al Brew Art che mi ha venduto questa delizia.
Gianluca Sabato
