#diariodibordo Bisceglie, grumo di case da 800 ab/km² per 69…

#diariodibordo Bisceglie, grumo di case da 800 ab/km² per 69 km di estensione fra mare e terra, è coperta di manifesti. E ciò non sarebbe strano. E’ tappezzata di manifesti riguardanti un’unica campagna pubblicitaria. E neanche questo sarebbe strano se si trattasse di marketing di una multinazionale. E’ tappezzata di manifesti tipo Molfetta quando venne il papa, tipo Roma Caput Mundi al ritorno di Cesare da una campagna di civilizzazione e conquista barbara. Bisceglie è tappezzata di manifesti affissi dal Ratto Matto. No, non è il soprannome di un losco attacchino, un po’ fuori di testa, che affigge manifesti abusivi in cambio di un pugno di dollari. Si parla del birrificio artigianale di Bisceglie, aperto da un annetto, credo, e legato a una serie di locali quali il 34 Dicembre (non conosco bene l’assetto societario). Fatto sta che il Ratto Matto ha iniziato a produrre solo in fusto, per poi passare anche alle bottiglie.

Questi manifesti invitavano a provare, da maggio, presso il 34 Dicembre, la nuova birra del roditore un po’ picchiatello, questa volta, credo, solo in fusto. La grafica è abbastanza accattivante anche se non allo stato dell’arte, il nome un gioco di parole all’altezza del più grande petroliere inglese, “Sir Batoio”, e che evoca i “migliori” sentimenti della “coltivazione diretta”. Viene spinta come birra a chilometro zero. Mi sono informato, mi chiedevo, se, per caso, anche i malti e/o i luppoli fossero locali, alquanto improbabile, ma era l’unica spiegazione che riuscivo a darmi per così pochi chilometri. Vengo poi a sapere che è a 0 solo perché fatta a Bisceglie, come tutte le altre del birrificio. Allora perché le altre, dal punto di vista della promozione, sono figlie della serva? E poi, perché questa fissazione col km 0, che nella birra ha poco senso? Parafraso le parole del, credo, proprietario (o socio) del locale e molto probabilmente proprietario (o socio) del birrificio: “In realtà a chilometro zero lo sono tutte le nostre birre, non usiamo materie prime locali, ma questa è diversa dalle altre perché è una bassa fermentazione, le basse fermentazioni, nel mondo dell’artigianale, sono difficili perché hanno lunghi tempi di maturazione, il lievito caratterizza meno e sono meno alcoliche”. In parte verità, in parte supercazzola, non so quanto volontaria.

La birra promossa è una bassa fermentazione, una pils secondo la loro etichetta. In realtà, secondo il mio parere, è completamente fuori stile; è più una India Pale Lager un po’ sgraziata. Capisco però che, etichettandola col giusto stile, avrebbero avuto difficoltà a farla bere al biscegliese medio che, all’udire “India Pale Lager” avrebbe detto “Cosa? Dammi una bionda va!”. E, diciamocelo, il target di birrificio e locale non sono proprio i geek/nerd della birra. Ma allora fai una vera pils, un po’ meno amara e più profumata e amen.

Le birre del Ratto Matto le si possono trovare solo in due locali di Bisceglie (e pochissimi sparsi qui e là credo), per cui o la bevi qui o non la bevi, ergo il servizio deve essere perfetto.

Bicchieri lavati con le spazzole, risciacquati e non più bagnati prima della mescita, niente sciacqua-bicchieri sotto le spine. Per la pils, altro che tre tempi, birra spillata in una botta sola: bicchiere inclinato sotto un rubinetto ad “alta pressione”, con una grande quantità di gas disciolta nella birra, che l’acqua bertiè di Fantozzi è una tisana. Conclude il servizio il taglio finale della schiuma, indipendentemente dallo stile di birra e, spesso, senza sciacquare la spatola fra uno stile e l’altro, all’insegna della contaminazione. Ho visto anche spillare due birre in contemporanea, tipo Lara Croft quando sparava sia con la destra che con la sinistra. Per tutti gli assaggi ho fatto roteare incessantemente e infruttuosamente il bicchiere per minuti: non sono riuscito a sgasare un bel niente.

Osservo la mia media di Bik0 (birra km 0) e la stessa persona di prima mi fa (parafraso): “Ma c’è qualcosa che non va?” e io “No no, ho l’abitudine di odorare e osservare tutto, a volte anche l’acqua” e lui “No, sai, questa è una birra non filtrata, il freddo ci aiuta molto a renderla limpida, perché blah blah blah”. Mentre nel mio cervello partiva la musichetta di carosello, ero sconvolto dal fatto che il mio interlocutore non avesse capito che io fossi un appassionato di birra. Vedo ovunque “publican” che diventano tali solo per il food o per il guadagno; la cosa non dovrebbe sorprendermi, ma sono ancora un’anima ingenua ed idealista.

Al mio suggerimento di fare la prossima cotta meno carbonata (non avevo assaggiato ancora altro), ricevo un’ammissione di colpevolezza: ammette che potrebbe essere un problema di servizio (era lui a spillare). Poi, però, continua come se nulla fosse. Da un lato la luce di vedere che hanno, da soli, capito una parte del problema (poi c’è la pressione dell’impianto, la birra ecc.), dall’altro la tragica consapelezza che nessuno farà niente per risolvere un qualcosa di noto.

Al naso manca completamente tutto il floreale e l’aroma di miele tipico delle basse fermentazioni. In bocca risulta subito “grainy”, come tante birre di birrifici improvvisati o di homebrewer, poi, col tempo, questa sensazione passa. Manca, anche qui, il floreale e il miele, ma almeno è amara, un amaro deciso, ma non pulito, che, alla fine, sfocia nel vegetale da luppolo. Carbonata, super carbonata, una media scende con difficoltà: è come mangiare un pacchetto intero di quelle caramelle dal cuore frizzante. Meno carbonata sarebbe stata, almeno, una bevuta dissetante e senza troppi pensieri.

Nonostante tutto, è la birra migliore del Ratto Matto (fra quelle che ho assaggiato). Non so chi sia il birrario, ma se è in gamba spero che, col tempo e con l’esperienza, possa far prevalere le sue ragioni su quelle del mero commercio per produrre un’intera linea dignitosa e poter acculturare, così, un po’ di palati, convincere gli abitanti di questa città che la birra locale può essere meglio del vino sfuso della cantina.

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