#diariodibordo nonostante tutte le considerazioni morali su acquisizioni da parte di “Familiy Brewers”, rimango un feticista della Verdi di Birrificio del Ducato. Quando ancora il mio palato non era così fine è stata una delle prime birre a farmi esclamare ad alta voce “Minchia zio che buona”, anche se non in modo così aulico.
Poi scopro che esiste una versione passata in botte di Whisky di questa magnifica Imperial Stout dalla vena piccante. Mi ritorna alla mente quando la bevvi spillata a pompa al Macchè qualche anno fa e parte l’acquisto compulsivo.
Premetto, me la sono procurata in un beershop il cui comproprietario è un noto distributore di bevande barese. E, dopo tutte le sole che mi ha rifilato questo posto in cui non tornerò mai più (un unico acquisto da centinaia di euro, tutte chicche, tutte finite nel lavandino) non sono certo se i lati critici della mia recensione siano imputabili solo alla birra o anche alla cattiva conservazione.
Se anche voi avete assaggiato questa boccia, illuminatemi.
Verdi, Old Cask 2002. La schuma è di un beige carico sulle tonalità del cappuccino, fine, compatta e persistente.
Al naso si percepisce subito e il legno e l’affumicatura da torba, tanta torba, poi il cacao amaro, una punta di butto e tanto alcool.
In bocca la birra non è affatto carbonata, il legno si sente troppo e diventa sgradevole virando sui toni del legno umido che inizia a marcire. Si percepisce la parte più selvatica della radice della liquirizia insieme a qualche spezia non meglio identificata (forse il pepato che sentivo nella versione base?). Torna anche quel pizzico di burro che già si avvertiva al naso.
Scaldandosi vengono fuori i tannini e si accentua la liquirizia.
La bevuta è assai monodimensionale e sgraziata: conoscendo la versione non passata in botte, si fatica a riconoscerla in questa veste.
Gianluca
